Il risultato del primo turno a Roma propone con forza il problema di un Partito Democratico che ha rotto il proprio rapporto con la città. Dati alla mano, il calo del consenso verso il Partito Democratico romano è drammatico e sarebbe un grave errore sottovalutarlo o fingere di ignorarne le cause. La sofferta conquista del ballottaggio da parte di Roberto Giachetti, favorita in modo determinante e forse voluto da Forza Italia, rende onore agli sforzi di un candidato che paga la sua eccessiva vicinanza a Renzi, ma che ha lavorato duramente sul territorio. Ma il volto di Giachetti, non può da solo coprire la gestione fallimentare di un partito che dopo gli arresti di Mafia Capitale ha perso l’occasione di rinnovarsi e che si è anzi chiuso in un disperato tentativo di auto-conservare il proprio potere, in ossequio non ai cittadini-elettori, ma solo al verbo renziano.
Da quando fu commissariato, nel 2014, e interamente affidato per ordine di Matteo Renzi a Matteo Orfini, il Partito Democratico romano ha mancato i risultati sperati e necessari. Non si sono visti né l’auspicato ricambio di classe dirigente, né la necessaria pulizia. I poteri assoluti a Orfini sono diventati uno strumento per soffocare qualsiasi dibattito interno e sono stati utilizzati per eliminare con una manovra, antidemocratica nei fatti, il sindaco eletto da 670.000 romani appena due anni prima.
Tutto questo è stato ieri sonoramente e inevitabilmente bocciato dagli elettori. Nel 2013, al primo turno la coalizione di centrosinistra ottenne il 42.6% dei voti, pari a 512.720 elettori. Oggi Giachetti, con la sua intera coalizione, ottiene il 24,85%, pari ad appena 319.305 elettori. Se consideriamo solo gli elettori del Partito Democratico nel 2013 furono 267.605 mentre oggi sono poco più di 200.000, con un calo di circa 70.000 votanti. In percentuale, a Roma, il Partito Democratico è passato dal 26,26% del 2013 a circa il 17% di oggi.
E’ giusto adesso attendere che si svolga il ballottaggio del 19 giugno. Ma è urgente agire al più presto per prendere concretamente le distanze da una strategia che si è rivelata suicida e dare un forte segno di discontinuità. Servono persone nuove nel Partito Democratico, meno supponenti e più rispettose dei sentimenti e dei giudizi degli elettori. Perché gli elettori capiscono che se non si cambia davvero il Pd, il Pd non sarà mai in grado di cambiare Roma.