QUANDO SI PUÒ AFFERMARE TUTTO E IL CONTRARIO DI TUTTO
La foto che coglie la gioia per le Olimpiadi 2026 Milano-Cortina evidenzia anche le contraddizioni di Ministri e Sindaci che oggi esultano e si congratulano ma che hanno impedito la corsa di Roma per le Olimpiadi 2024. Matteo Salvini, Virginia Raggi, Luigi Di Maio, tutti contenti oggi, tutti contrari ieri. Purtroppo, in un mondo che comunica con poche sillabe su Twitter solo in pochi rifletteranno sulle contraddizioni di questi personaggi. Per questo penso che sia utile ricordare il lavoro fatto nel 2015 per riavere le Olimpiadi a Roma nel 2024. Un progetto, quello olimpico, che nella memoria dei romani rimanda ad un’epoca d’oro, il 1960, con un evento sportivo memorabile che rese Roma affascinante agli occhi di tutto il mondo. Furono le indimenticabili Olimpiadi di Abebe Bikila e della sua maratona a piedi nudi davanti al Colosseo, ma anche quelle di Nino Benvenuti e di Cassius Clay. Per Roma fu insieme una grande festa e fonte di un intreccio di questioni urbanistiche il cui effetto si ripercuote ancora oggi.
Nel 2015 lavorammo per impostare una candidatura olimpica in grado di accelerare il processo di cambiamento che intendevamo realizzare nell’interesse dei cittadini, dei trasporti e degli altri servizi essenziali. Tenendo in mente anche il successo del lavoro svolto da Pier Luigi Nervi per le Olimpiadi di Roma 1960, glorificato dai media di tutto il pianeta. Riviste americane come “Life” e “Harper’s Bazar” nel 1960 elogiarono rispettivamente la sostenibilità economica degli impianti sportivi di Nervi e un disegno che avvicinava le sue architetture all’arte e alla scultura, associando la bellezza del nostro Villaggio olimpico a quella delle opere di urbanisti e architetti come Walter Gropius, Le Corbusier, e Frank Loyd Wright. Al tempo stesso, valutammo anche i rischi legati ad alcuni fallimenti del recente passato. Le Vele di Calatrava, restano oggi una scandalosa cattedrale nel deserto, una voragine che ha divorato trecentoventitré milioni di Euro pubblici e ne occorreranno altri quattrocento circa se si vorrà finire l’opera. A oggi una maestosa opera incompiuta che svetta nel mezzo del nulla e ci ricorda, passandole accanto quando si arriva nella Capitale dall’autostrada Napoli-Roma, gli scandali che hanno seguito i mondiali di nuoto del 2009. Certo, ricucire quella ferita sarebbe un bel segno per la città. E, infatti, nella nostra proposta per Roma 2024 pensavamo a un duplice intervento: recupero della Città dello sport dedicando la seconda vela al palazzo dello sport e la prima, quella già costruita e abbandonata, per la sede della Facoltà di Scienze naturali. Volevamo, inoltre, un intervento strategico per la mobilità: il prolungamento della metro A da Anagnina fino a Tor Vergata. Avremmo portato la metropolitana nel cuore dell’ultima periferia romana alleggerendo così il traffico sul tratto Est del grande raccordo anulare, il più congestionato.
In sintesi il progetto di Roma 2024 lo volevamo articolare in tre grandi aree. Il Foro italico con il Parco olimpico del Tevere Nord, la Città dello sport di Tor Vergata, il complesso sportivo dell’Eur e della ex Fiera, con il Tevere che da Sud a Nord faceva da asse portante del progetto. Tre grandi aree coerenti: una visione che rappresentava l’occasione per dare finalmente forma alla città del XXI secolo.
Di queste tre aree, il Parco olimpico del Tevere Nord rappresentava la vera novità e nell’intuizione di Giovanni Caudo il progetto urbanistico ne metteva in luce tutto il potenziale. Oggi, l’area compresa tra il grande raccordo anulare a Nord, la via Olimpica a Sud, la via Salaria a Est e la via Flaminia a Ovest, costituisce un insieme di agglomerati edilizi senza forma. Aggregati di edifici in vetro, come quello oggi abbandonato e vuoto della rete televisiva Sky, antiche locande di posta trasformate in improbabili motel, luoghi di prostituzione, fabbriche abbandonate, il tritovagliatore dell’azienda municipale dei rifiuti andato a fuoco, un deposito degli autobus (dove sono stati radunati gli autobus portati a Roma da Israele dalla Giunta Raggi senza rendersi conto che non potevano circolare a Roma …) a fianco a un depuratore che occupa un’intera ansa del Tevere. E poi poco più su, il centro della Rai, vicino ad antiche fornaci ormai cadenti. Già oggi nell’area è presente una linea di trasporto su rotaia che potrebbe divenire una straordinaria risorsa per la città. Il Parco Olimpico era l’occasione per ristrutturare la rete di trasporto su ferro e far diventare la Roma-Viterbo una nuova metropolitana di Roma, moderna e funzionale. Avremmo potuto realizzare un Villaggio olimpico e un parco sul fiume, a poca distanza dal Foro italico, raggiungibile con la pista ciclabile e immerso in una delle zone di Roma dove tradizionalmente si sono collocate le strutture sportive amatoriali, che potevano essere utilizzate per gli allenamenti degli atleti.
Circa tremila e seicento nuovi alloggi sono il lascito dei villaggi olimpici. Nella nostra visione il Villaggio olimpico doveva avere un lascito diverso e utile a Roma: non case ma uffici. Avremmo offerto al Comitato Olimpico Internazionale (CIO) una proposta assolutamente innovativa. Il Villaggio olimpico, lo avevamo pensato in modo da realizzare la “Città della Giustizia”. Avremmo fatto in modo che le stanze che per un mese avrebbero ospitato gli atleti si trasformassero subito dopo in uffici per i giudici, per i procuratori, per i cancellieri, gli avvocati, eccetera. Gli spazi comuni e di servizio sarebbero stati utilizzati per le aule giudiziarie, i depositi per gli archivi. Questa strategia avrebbe reso un grande servizio alla vita dei cittadini romani che quando si devono confrontare con un problema di Giustizia scontano tempi biblici anche perché i magistrati, attualmente, non hanno lo spazio fisico dove accogliere tutti i fascicoli dei provvedimenti e questo determina ritardi incompatibili con le vite delle persone e delle aziende.
Una localizzazione ottimale per la Città della Giustizia perché avrebbe consentito di mantenere nel quartiere Prati la presenza degli uffici e degli studi professionali, che costituiscono l’indotto. Il collegamento con la metropolitana avrebbe assicurato un’agevole accessibilità della Città della giustizia proprio dal settore di Prati, oltre che dal resto della città.
Cosa pensavano le romane e i romani della candidatura olimpica? Molti sembravano d’accordo. I più anziani ricordano ancora oggi l’esperienza mitica del 1960 e, se è vero che il Comune non ha ancora terminato di pagare gli espropri per le terre su cui negli anni ’50 del secolo scorso è stato costruito il Villaggio olimpico del Foro Italico, è altrettanto vero che i principali impianti sportivi della Capitale, da quelli della zona nord con lo stadio Olimpico, lo stadio Flaminio, lo stadio del Nuoto e quelli all’Eur con il palazzetto dello sport, il velodromo (fatto saltare per aria durante la sindacatura di Alemanno), la zona sportiva di Tre Fontane, si devono a quel grande evento, così come la grande arteria stradale nella zona Nord, la cosiddetta Olimpica. I romani sarebbero stati orgogliosi di essere di nuovo al centro del mondo con un grande evento sportivo. Ma ai romani e alle romane non è stato detto che un grande evento come le Olimpiadi costituisce una opportunità per riparare strade, marciapiedi, per migliorare trasporti, decoro urbano, e per creare migliaia di posti di lavoro. Molti che oggi esultano per Milano e Cortina allora dissero che le priorità a Roma erano altre e che le Olimpiadi sarebbero servite solo per rubare. È incredibile come questi leader possano affermare tutto e il contrario di tutto.