27 ottobre, 2023

Il grande raccordo anulare delle bici di Roma

Sin dall’inizio del mio mandato di Sindaco di Roma mi impegnai in azioni di valorizzazione dell’ambiente. Chiusi Malagrotta, la discarica più grande d’Europa che avrebbe dovuto chiudere entro il 31 dicembre 2007, ma che invece rimaneva sempre aperta. Malagrotta copre una superficie di duecentoquaranta ettari, uno spazio grande quanto trecentoquarantatre campi di calcio regolamentari. Immaginatevi una superficie ampia quasi trecentocinquanta volte lo stadio Olimpico di Roma e colma di rifiuti. Nei periodi estivi, con tutti quei rifiuti in decomposizione l’area di Malagrotta diventa nauseabonda e particolarmente malsana e l’intera montagna d’immondizia è visibile a chilometri di distanza dal volteggiare di decine di migliaia di gabbiani. Uno scenario infernale. Malagrotta avrebbe dovuto essere risanata e trasformata in area verde a spese dei privati che per oltre cinquanta anni avevano accumulato profitti versandovi milioni di tonnellate di rifiuti. Mentre scrivo apprendo che ancora una volta l’Italia permette di deturpare l’ambiente senza neanche chiedere ai privati di riparare, come prescrive la legge. L’emungimento del percolato e il cosiddetto “capping” di Malagrotta, che attendono l’avvio da dieci anni, verranno eseguiti con duecentocinquanta milioni di euro dei contribuenti. E Comune, Governo e Regione celebrano questo evento come un successo, mascherando quello che è: una disastrosa sconfitta ambientale e finanziaria ed un ulteriore dono ai privati.

Aprii la Metro C che oggi permette a decine di migliaia di persone di spostarsi senza l’automobile. E non fu facile. Quando, partecipando a una riunione per definire i dettagli del collaudo, compresi che per alcuni inaugurare le prime quindici stazioni della terza linea metropolitana della Capitale nel 2014 oppure nel 2015 fosse la stessa cosa, m’infuriai e persi letteralmente la pazienza. Posso sopravvivere per diversi giorni soltanto bevendo acqua, pensai, e quando entrai nell’ufficio del direttore generale del Ministero per i Sistemi di Trasporto a Impianti Fissi e il Trasporto Pubblico Locale, il pomeriggio dell’8 ottobre del 2014, dichiarai che non mi sarei mosso di lì se prima non avessi avuto la lista di tutte le carte che dovevano essere verificate per arrivare all’inaugurazione della nuova metropolitana nel più breve tempo possibile. Pretesi una data certa entro la quale completarne l’esame e far salire i passeggeri sui nuovi treni. Come spesso accade in Italia, dove l’ingarbugliarsi di norme nazionali e regionali e l’inesistenza di percorsi burocratici chiari e intellegibili permettono a quasi tutti di lavarsi le mani di un problema, nessuno sembrava essere responsabile dei ritardi. Chi diceva che era responsabilità dell’azienda dei trasporti di Roma, l’ATAC, chi sosteneva che fossero ritardi imputabili alla Regione Lazio, chi attribuiva la colpa alle aziende costruttrici e chi al Ministero. Non mi mossi di lì e rimasi chiuso nell’ampio ufficio del direttore generale sino a notte, quando ottenni che si istituisse un gruppo di lavoro riunito a oltranza, e un mese dopo, il 9 novembre 2014, inaugurammo le prime quindici stazioni.

A Roma vi è un reale bisogno d’investimenti nel trasporto pubblico, specialmente su rotaia, e nel trasporto alternativo, come le ciclabili e il car sharing. Roma è vittima di errori strategici, o forse di scelte consapevoli, compiute dalle amministrazioni che dagli anni ’50 favorirono il trasporto privato a discapito di quello pubblico. Un errore che nei decenni portò alla rimozione di molte linee tranviarie. Oggi è necessario investire per ripristinare i tram in modo da offrire un’alternativa al trasporto privato sulla propria auto o sulla propria moto. Roma è la città con il maggior numero di veicoli a motore di tutto il continente europeo: settecentoquaranta mezzi privati ogni mille adulti a Roma, duecentocinquanta a Parigi, trecentoquattordici a Londra. Questo dipende dalla scarsità dei servizi di trasporto pubblico frutto, appunto, delle scelte del passato.

Tutti conoscono il mio rispetto per l’archeologia e l’interesse per la bicicletta come mezzo di trasporto alternativo. All’inizio del 2015, quando venni a conoscenza del dettagliato e straordinario lavoro svolto dai cittadini di Roma, grazie all’iniziativa e al coordinamento di VeloLove, ne fui subito entusiasta. La loro visione di una infrastruttura di alto valore sociale, culturale, economico e ambientale superava la mia visione, più concentrata sulle singole vie ciclabili. Finalmente, invece di suscitare dibattiti sterili e inconcludenti, quell’idea trovò l’immediato sostegno di comitati, associazioni e istituzioni: Legambiente, Touring Club Italiano, Vivilitalia, Free Wheels Onlus, Open House Roma, TeamDev, Parco Regionale dell’Appia Antica, Roma Natura. Tutti uniti nel sostegno a un progetto visionario e semplice insieme. Ecco, il Grande Raccordo Anulare delle Bici nella mia immaginazione fu come vedere l’intera Capitale ricomposta in una gigantesca opera di Kintsugi: l’arte giapponese che permette di riparare oggetti ridotti in frammenti, più o meno grandi, unendoli con colla e polvere d’oro. Così l’oro indica ed evidenzia le fratture e le arricchisce nel ricomporle. In America avevo conosciuto una chirurga di origine caraibica con cui avevo lavorato molto in sala operatoria. Nell’estate del 1988, fui felice di invitarla a venire in Italia. Giunta a Roma, la portai ai Fori e le spiegai, passo dopo passo, la magia di quei luoghi intrisi di storia. In una bellissima giornata di sole, con l’aria tersa e il cielo azzurro senza una nuvola, passeggiammo e parlammo a lungo nello spazio che tante volte poi, tra il 2013 e il 2015, avrei osservato dagli uffici del Campidoglio. Usciti dall’area degli scavi il volto di Velma s’incupì, con quello stesso sguardo severo che ero abituato a riconoscere sopra la mascherina da chirurgo quando qualcosa in sala operatoria la preoccupava. Mi guardò e mi disse: “Ma come vi è venuto in mente di costruire un’autostrada a quattro corsie proprio fuori di qui”. In tanti si erano posti la stessa domanda. Anche molti sindaci e amministratori prima di me, ma nessuno aveva osato agire. Andare fino in fondo significava rischiare il consenso pubblico: e quale politico di professione è disposto a farlo? Tanti progetti, tante parole, tante enunciazioni teoriche, tante promesse ma alla fine nessuna scelta e azione conseguente. Meglio non rischiare. Ebbene, il 3 agosto del 2013, poco più di un mese dopo la mia elezione, Roma riconsegnò al mondo il pieno e libero godimento di via dei Fori Imperiali con l’avvio del percorso di pedonalizzazione dell’area archeologica centrale. La prima idea di creare il parco archeologico più grande del mondo unificando un’area vastissima, dal Foro Romano sino alle Terme di Caracalla e all’Appia Antica fu denominata “Piano per la sistemazione della zona monumentale riservata di Roma” e venne inserita in una proposta di legge di Guido Baccelli nel 1887. Non si realizzò. Quell’idea dell’800 venne ripresa nel XX secolo da personaggi come Giovanni Giolitti e Antonio Cederna. Con i sindaci Giulio Carlo Argan e Luigi Petroselli si proibì di percorrere in macchina lo spazio tra il Colosseo e l’arco di Costantino. Altri sindaci invece ne parlarono con convegni, articoli su quotidiani e settimanali, dibattiti televisivi e persino con affermazioni nette accompagnate dalla stampa di piantine tascabili da distribuire alla popolazione. Ma niente di fatto. Per decenni si è continuata a considerare via dei Fori Imperiali come una qualsiasi altra strada di Roma e il Colosseo come una rotonda spartitraffico, straordinaria per imponenza e bellezza, ma pur sempre con la funzione di rotatoria, pari a quelle che si possono vedere nelle periferie delle grandi aree metropolitane di Los Angeles.

D’altra parte, se Londra, Berlino, Los Angeles o New York avessero avuto il Colosseo, certamente non l’avrebbero utilizzato come una rotonda spartitraffico. Che gioia vedere finalmente quell’autostrada trasformata in uno spazio a disposizione di migliaia di persone che oggi, ogni giorno, lo percorrono a piedi o in bicicletta.

Il Grande Raccordo Anulare delle Bici sarà molto più di questo. Sottrarrà l’Appia Antica alla morsa del traffico a motore, permetterà di congiungerla al Colosseo, pedalando per pochi minuti in sicurezza. E ancora di più. Si potranno raggiungere gli spazi più affascinanti della Capitale con un percorso pianeggiante. Un corridoio verde che collega l’Appia Antica al Maxxi di Zaha Hadid, la street art del Quadraro e di Tor Pignattara al Colosseo, Circo Massimo, Caracalla, ma anche ai parchi della Caffarella e degli Acquedotti, Villa Ada, Villa Borghese, Villa Gordiani, i percorsi fluviali di Tevere, Aniene e Almone, incrociando in più punti diverse stazioni ferroviarie e le tre linee della metropolitana. Quando chiusi al traffico privato Via dei Fori Imperiali e Piazza di Spagna molti protestarono e altri protesteranno per il Grande Raccordo Anulare delle Bici, quando si sottrarranno alcuni chilometri di alta viabilità urbana alle automobili. Ma, ne sono certo, in pochi anni tutti applaudiranno a un’opera di “ricucitura ciclabile”, al Kintsugi urbano che stupirà turisti e soprattutto Romane e Romani, quando scopriranno che possiedono un parco archeologico immenso impreziosito da immagini bucoliche, con i pastori e le pecore in scenari inimmaginabili a pochi chilometri dal traffico assordante (e inquinante, con le sue polveri sottili).

Articolo originale su Ecosistema Urbano